Carissimi amici, oggi Marco Gavio de Rubeis, autore di diversi saggi di enogastronomia storica tra cui Rinascimento in cucina. L’Italia tra banchetti e alimentazione quotidiana, vi parlerà di un aspetto poco conosciuto del Rinascimento, ovvero la figura del cuoco di corte nel Cinquecento e il trattamento riservato a lui e ai suoi assistenti da parte del principe del quale sono a servizio, in particolare dal punto di vista alimentare. Si tratta di informazioni preziose che possono fare luce sugli aspetti più quotidiani della vita di una delle figure di maestro artigiano più apprezzate tra l’età medievale e rinascimentale, ricavate dal testo di uno dei più rinomati cuochi del Cinquecento, Bartolomeo Scappi.
Buona lettura!

Il periodo rinascimentale rappresenta una rinascita di tutte le arti con un deciso rivolgimento nei confronti di un passato ritenuto superiore al presente e degno di imitazione, attraverso la volontà di liberarsi da quella che viene percepita come l’oscurità dei secoli immediatamente precedenti, in nome del recupero dell’antico. Questo è valido in ogni ambito, seppure con risultati molto differenti a seconda dell’arte di riferimento. Tra tali ambiti, dobbiamo includere anche quello culinario. Caratteristica determinante del Rinascimento è anche l’attenzione posta nei confronti dell’individualità dell’artigiano e delle sue caratteristiche specifiche e questo è particolarmente valido nel caso dell’argomento del nostro articolo.
Mentre nel Basso Medioevo l’attenzione sembra essere posta più sull’aspetto tradizionale e sull’adesione del cuoco alla consuetudine, a partire dall’età rinascimentale – pur senza che si verifichi una cesura nei confronti della tradizione stessa – iniziamo a ritrovare elementi che ci consentono di legare i piatti più al cuoco stesso che alla tradizione. A tal proposito, ricordiamo l’opera Platina, il De Honesta Voluptate et Valetudine, nel quale l’autore attribuisce a Maestro Martino da Como i massimi onori come cuoco attraverso l’analisi delle sue ricette in quello che si configura come un commentario al Libro de arte coquinaria e un ampliamento che va a riguardare tutti gli aspetti della vita quotidiana. La cucina ideale è quella rappresentata dal cuoco quattrocentesco, che sceglie alcuni degli aspetti della cucina di tradizione medievale rielaborandoli in un modo che un umanista come Platina considera perfetti per il buon mantenimento della salute e un piacere che sia onesto, ovvero moderato e privo di eccessi. Non è la tradizione culinaria del passato, quella che Platina considera ideale, ma quella creata dal cuoco che incarna il modello perfetto del cuoco.
Maestro Martino e la sua opera costituiranno l’ideale a cui tendere per i cuochi del Quattrocento, attraverso la diffusione di un’idea di cucina che sarà determinante per tutti coloro che lo seguiranno, andando a influenzare anche in parte la cucina del secolo successivo.
L’elemento dell’individualità del cuoco tuttavia si fa ancora più presente e sentito nel Cinquecento. Cuoco per eccellenza del Cinquecento è Bartolomeo Scappi, operante presso la corte di due papi, il quale ci ha lasciato un corpus immenso di ricette e e di informazioni sulla conservazione dei cibi, sugli utensili, sui rimedi alimentari per la salute e infine sul trattamento economico e quotidiano che un cuoco di alto livello – oltre ai suoi assistenti – si deve aspettare da parte del proprio principe.
Quest’ultimo aspetto ci sembra particolarmente interessante; andremo quindi ad analizzare il testo di Scappi per mostrarvi cosa implichi appunto lavorare in una corte a metà del Cinquecento. Resta inoltre significativo, per quello che riguarda la conoscenza della storia del Rinascimento, comprendere quale fosse l’alimentazione di un servitore in questo periodo e, come vedremo, è molto diversa da quello che comunemente si pensa: parliamo di una dieta ricca di proteine animali e tutto tranne che misera, come si tende a immaginare ai giorni nostri. L’alimentazione priva di prodotti di derivazione animale è del tutto inconcepibile sia nel Medioevo che nel Rinascimento e il testo di Scappi ne rappresenta soltanto un’ulteriore prova.

Dopo avere elencato l’impressionante quantità di strumenti necessari per lo svolgimento della sua arte – oltre tutto, il libro di Scappi è corredato di illustrazioni che mostrano l’aspetto di una cucina di alto livello del suo tempo – l’autore indica quelle che sono le esigenze di un cuoco di corte e dei suoi assistenti in termini di vitto e alloggio.
Scappi ci ricorda che nelle grandi corti succede di frequente che il maestro cuoco non sia una persona sola ma cambi ogni settimana. In tal caso, ci ricorda Scappi, i maestri cuochi devono essere considerati uguali e deve essere garantita loro la stessa autorità. Ognuno avrà da gestire la propria settimana di lavoro e potrà ricorrere, se necessario, all’aiuto dell’altro cuoco. In tal caso, dovranno spartirsi da buoni fratelli le regalie, ovvero i compensi per il servizio prestato.
Sia il cuoco che garzoni e aiutanti devono inoltre essere riforniti di abiti almeno una volta all’anno. Il cuoco dovrà avere una camera propria con un letto, candele, scope e legna da bruciare per l’inverno nel modo che hanno i gintilhuomini, ovvero in abbondante quantità a seconda del bisogno stagionale. Gli verranno fornite inoltre, per suo vitio, tre libbre (una libbra equivale a circa 350 grammi, quindi parliamo di un totale di un chilo e 50 grammi) di pane al giorno e sei fogliette (una foglietta sono 0,45 litri per un totale di 2,7 litri) di vino della stessa qualità che si serve alla tavola dei gentiluomini. Scappi non parla, purtroppo per noi, del companatico nelle corti più piccole, indicando sbrigativamente che questo sarà attribuito secondo la convenzione, il che significa che le quantità risulteranno ridotte rispetto a quelle indicate in seguito ma, presumibilmente, la tipologia del trattamento resterà paragonabile. Nelle corti grandi, a parte quelle di papi, imperatori e re li quali sono libere (il che implica, tra le righe, che un cuoco che lavora alla corte del papa come lui riceve un trattamento migliore di quello in seguito indicato), la consuetudine è quella di dare al maestro due libbre e mezzo (circa 875 grammi) di carne di vitella o di castrato o un cappone o una gallina al giorno a seconda delle tipologie di piatto preparate quel giorno in cucina (appresso alla credenza del piatto che si fa in cucina).
In seguito l’autore parla dei giorni di magro. Ricordiamo che nel Rinascimento cambiano le consuetudini rispetto al Medioevo: mentre l’epoca precedente vieta l’impiego di qualsiasi carne e derivato nei giorni di magro o di penitenza, inclusi uova e latticini, consentendo unicamente il pesce come sostituto, nel Rinascimento tale prescrizione si attenua fino a scomparire, per quanto ancora in Maestro Martino possiamo ritrovare, ad esempio, piatti sostitutivi delle uova come le cosiddette uova contraffatte le quali nei tempi successivi vengono preparate sovente più come pietanza tradizionale che a causa dell’effettiva necessità di sostituire le uova. Resta il divieto della carne nei giorni di magro, certamente, ma tale divieto non si estende più alle uova e al latte che restano proibiti unicamente nei giorni di quaresima. Un altro dato interessante, che ricaviamo dalle liste di pietanze di Scappi e di altri cuochi, è che il pesce non è più considerato unicamente un misero sostituto della carne, ma viene sempre più spesso inserito anche nei pasti di grasso accanto agli altri piatti, segno di un mutamento di gusto e di un riconoscimento di una differente dignità da attribuirsi all’alimento della penitenza per eccellenza.
Troviamo in Scappi che la carne concessa dal principe nei giorni di grasso deve essere sostituita con otto uova nei giorni di magro e da due libbre e mezza di pesce durante la quaresima.
Per quello che riguarda gli aiutanti, i garzoni e i pasticceri, devono anche loro avere ognuno camere e letti forniti dal principe, tre libbre di pane come il cuoco, due boccali (un boccale equivale a 1,8litri, per un totale quindi di 3,6 litri) di vino ordinario, una libbra e mezzo (circa 525 grammi) di carne o pesce o sei uova.
Scappi specifica che lo scopo primario di queste comodità concesse al cuoco e ai suoi assistenti è garantire la fedeltà al principe e far tollerare meglio la fatica del lavoro in cucina.
In seguito Scappi sottolinea come al maestro cuoco debba essere garantita la massima autonomia per quello che riguarda l’assunzione dei suoi aiutanti, senza che lo scalco o il maestro di casa possano interferire con le sue scelte, per offrire il migliore servizio possibile al principe.

Il cuoco deve anche avere tutto il necessario per viaggiare, nel caso gli venga richiesto, masserizie leggere per gli spostamenti e tutti gli aiutanti che gli servono per portare a termine il suo compito, i quali devono essere forniti di cavalcature adeguate, calzature per camminare, tutto ciò che viene dato ai garzoni e persone per caricare e scaricare l’attrezzatura per la cucina da campo.
MARCO GAVIO DE RUBEIS
Per approfondire alcuni dei temi trattati in questo articolo, vi consigliamo la lettura di Medioevo in cucina. Ingredienti, ricette e sapori e di Rinascimento in cucina. L’Italia tra banchetti e alimentazione quotidiana. Qui invece trovate l’elenco completo dei nostri libri dedicati alla storia dell’enogastronomia. I libri, scritti da Marco Gavio de Rubeis, possono essere acquistati presso il nostro shop e negli store online, oppure ordinati in tutte le librerie italiane.
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