Cari amici, oggi Marco Gavio de Rubeis, autore di saggi di successo dedicati alla storia dell’enogastronomia, tra cui il recente libro dedicato alla birra storica, vi presenta un articolo dedicato alle bevande alcoliche nel Medioevo e al concetto, molto diverso dal nostro, di sobrietà, attraverso l’analisi di fonti mediche e religiose. Vi auguriamo una buona lettura!
Non si può separare l’alimentazione medievale dal suo naturale complemento, ovvero dalle bevande alcoliche, presenti a ogni banchetto e diffuse in ogni regione del mondo conosciuto. Risulta del tutto assente l’idea che l’alcol di per sé non abbia effetti benefici sull’organismo (il sospetto che possa procurare danni alla salute è molto tardo e compare più come opinione di medici che come fatto assodato e in ogni caso non prima dell’età rinascimentale); piuttosto, ciò che deve essere contenuto è il consumo smodato. Due sono le due ragioni fondamentali: in primo luogo le conseguenze sociali del bere, inteso come ubriachezza molesta, in secondo luogo la necessità prettamente religiosa della continenza nei confronti di qualsiasi forma di eccesso. Nella vita religiosa, in particolare monastica, il vizio della gola deve essere il più possibile tenuto sotto controllo. Vedremo come.
Prima di proseguire con le prescrizioni mediche e religiose, andiamo ad analizzare che cosa effettivamente si bevesse in età medievale. Ci limiteremo all’area europea, zona di interesse delle trattazioni dei libri e degli articoli che abbiamo pubblicato. Attraverso l’analisi delle fonti, ritroviamo diverse bevande alcoliche, andando a rivelare, come quello che riguarda i cibi, una complessità ineguagliata che si è andata poi perdendo in età moderna, per quanto alcune di tali bevande siano state riscoperte (seppure in modo incompleto e spesso riduttivo, come abbiamo visto per l’idromele) in tempi recenti. Interessante sottolineare che la maggior parte di esse si è persa soltanto nell’ultimo secolo del millennio appena trascorso, avendo costituito l’inizio del Novecento un periodo di grave perdita delle tradizioni alimentari del passato e, di conseguenza, della produzione di bevande alcoliche rimaste nella maggior parte dei casi come isolati prodotti regionali.
Bevanda per eccellenza del periodo medievale in tutte le zone che sono state influenzate dalla cultura latina è senza dubbio il vino, considerato salubre, nutriente e benefico per il corpo e la mente. Vini di origine romana si ritrovano citati, in particolare il famoso Falerno, anche in fonti provenienti dalle regioni celtiche, mostrandone l’ampia diffusione. Ritroviamo inoltre, come consuetudine dell’antica Roma, svariati vini di frutta (sidro, sidro di pere, vino di melagrana, vino di ciliegie, vino di more e quant’altro), oltre naturalmente ai vini aromatizzati con spezie, anche nella forma che nel periodo medievale e rinascimentale conosceremo come chiarea e ippocrasso, in realtà consumati in genere a fine pasto come digestivo oppure per le loro proprietà medicinali, non come bevande per accompagnare il banchetto. Ritrovate esempi di chiarea e ippocrasso all’interno del nostro saggio dedicato alla cucina rinascimentale.
L’idromele e la birra risultano molto diffusi in tutte le regioni europee di influenza germanica e celtica. In queste ultime si ritrova anche una bevanda dal sapore eccezionale, il braggot, un fermentato di miele e malto il cui successo si estenderà fino all’età moderna ma che resterà pressoché sconosciuto in Italia. Lo stesso idromele verrà in buona parte dimenticato, nel corso dei secoli, nel nostro paese e considerato unicamente una bevanda di provenienza nordica, come testimoniato anche da medici di fama come Mattioli, d’età cinquecentesca, malgrado questa informazione sia storicamente errata. Non soltanto l’idromele è ampiamente diffuso e prodotto nell’Antichità mediterranea, ma nell’antica Roma, con il nome di aqua mulsa, costituisce una delle bevande principali. Anche la birra, diffusissima in Italia in età romana come prodotto di importazione sotto forma di cervisia (birra celtica) e di zythum (birra egizia, per semplificare), diviene qualcosa di sempre più raro, come testimonia anche Mattioli che la considera una bevanda di provenienza germanica.
Accennavamo all’inizio dell’articolo che i medici medievali hanno un’opinione altamente positiva del consumo delle bevande alcoliche, purché moderato (anche se analizzeremo cosa sia questa moderazione esaminando le prescrizioni religiose e scopriremo che tra essa e l’aurea mediocritas di memoria oraziana c’è un abisso). All’interno del Regimen Sanitatis Salernitanum, testo molto in voga nel Basso Medievo che rappresenta una volgarizzazione e una rielaborazione di fonti di origine araba, come ritroveremo poi nella maggior parte dei testi medici successivi, il buon vino, in particolare quello rosso è considerato non soltanto benefico per la salute, ma anche una vera e propria medicina, come del resto le bevande alcoliche in generale, secondo una consuetudine che affonda le sue origini nella letteratura medica greca e latina e, di conseguenza, araba. Una curiosità è che Arnaldo di Villanova, autore del trattato, sostiene che anche la carne di maiale se consumata insieme al vino costituisca una medicina, utile per mantenere un buono stato di salute. All’interno del testo ritroviamo anche un altro consiglio degno di menzione, ovvero che, qualora si provi fastidio nel consumare vino alla sera, l’autore suggerisce di berlo alla mattina e in questo modo costituirà una medicina (erit medicina).
Al contrario, l’acqua è guardata con sospetto, in quanto raffredda lo stomaco ed è, in sostanza, nociva: potus aquae sumtus fit edenti valde nocivus: infrigidat stomachum.
La birra, per essere considerata salutare, non deve essere acida (acetosa) ma limpida (bene clara), preparata con buoni grani e abbastanza invecchiata. Questi elementi risultano significativi anche per comprendere quali caratteristiche organolettiche venissero considerate desiderabili all’epoca, andando a contraddire un certo tipo di opinione comune per la quale nel Medioevo la birra venisse prodotta malamente e di conseguenza spesso avesse un cattivo sapore. Della stessa opinione appare il medico greco Antimo, che menziona sia la birra che l’idromele tra le bevande il cui consumo è salutare. Purché la birra sia bene facta, è vantaggiosa per il mantenimento di un buono stato di salute e, secondo l’autore, risulta equivalente alla tisana, una minestra di cereali ampiamente consumata in età romana.
A fronte di un’opinione generalmente positiva nei confronti dell’alcol, purché non consumato in modo eccessivo (persino presso i popoli germanici e celtici ritroviamo testi che prescrivono di evitare di esagerare, ad esempio il testo eddico Hávamál, per non citare il Gododdin celtico nel quale un anno di banchetti e lo stomaco gonfio di vino, birra e idromele conducono un intero popolo alla disfatta e alla morte), sono piuttosto interessanti invece le prescrizioni religiose in merito al consumo di qualsiasi bevanda procuri ebbrezza, intesa tuttavia come grave forma di ubriachezza e non come divieto assoluto del consumo dell’alcol, quanto meno nelle regioni dove l’alcol è talmente radicato nelle usanze da divenire presumibilmente difficile riuscire a estirpare tale consuetudine senza compromettere la crescente evangelizzazione.
A questo proposito, risultano particolarmente significative le fonti che ritroviamo nei paesi celtici e germanici; meno dettagliate le fonti invece del nostro paese, dove si ritrova, in particolare per chi vive in monastero, il richiamo alla moderazione e al consumo del vino limitato a una piccola quantità o alle festività. In generale, più che un richiamo all’antichità classica, ritroviamo la tendenza alla medesima stigmatizzazione nei confronti di qualsiasi bevanda sia in grado di alterare lo stato della mente presente nei testi di Girolamo e Agostino d’Ippona, il quale tuttavia consente il consumo di alcolici unicamente nei giorni di festa. Tali prescrizioni tuttavia non devono far cadere nell’ingenuità di ritenere che i monaci siano dediti all’astinenza dall’alcol, opinione superficiale contraddetta di continuo dalla letteratura e dai documenti storici: uno degli elementi portati dalla riforma benedettina e dai movimenti pauperistici tipici del periodo basso medievale è proprio il tentativo di regolamentare consuetudini tutto tranne che sobrie.
Il problema della sobrietà dei monaci risulta ancora più sentito in altre regioni d’Europa, tale da rendere necessaria una regolamentazione specifica che presumibilmente tenti di mediare tra la consuetudine comune e il tentativo di contenerla. Malgrado l’ostilità da parte di alcuni Padri della Chiesa nei confronti dei cosiddetti sikera, che includono la birra e ogni altra bevanda che non sia il vino, considerate bevande pagane (in quanto prodotte e consumate da popoli gentili come Babilonesi ed Egizi e di conseguenza non degne di un cristiano), tali bevande in realtà vanno a costituire, a partire dall’alto Medioevo, una parte fondamentale dell’alimentazione del monaco di provenienza celtica o germanica. La presenza di un’ampia letteratura dedicata ai cosiddetti miracoli della birra (in genere moltiplicazione, ma anche trasmutazione dell’acqua in birra o risoluzione da parte del santo di alcuni problemi nella birrificazione, come ad esempio una fermentazione interrotta), segno della volontà da un lato di sostituire le divinità pagane con dei santi cristiani con caratteristiche analoghe, dall’altro del tentativo di distinguere un bere cristiano da un bere pagano, da ritenersi dannoso per l’anima. Nel nostro libro Birra nella storia trovate un capitolo dedicato a tali fonti, di grande interesse per chi voglia conoscere le consuetudini alcoliche d’età medievale.
Quello che ci preme sottolineare è che, salvo per rare eccezioni, non è l’astemia a essere considerata il modello da imitare di vita cristiana, quanto piuttosto la continenza nel bere. Teodoro di Canterbury, autore del VII secolo, esplicita cosa sia il digiuno a pane e acqua. Lungi dall’assomigliare allo stereotipo comune sul Medioevo riguardante per l’appunto il digiuno in senso moderno, ritroviamo che tale atto di penitenza consiste nell’astenersi per tre giorni alla settimana da vino, idromele, mellita cervisia (ovvero braggot), carne, formaggio, uova e pesci grassi. La bevanda dei giorni di digiuno a pane e acqua, naturalmente, non è l’acqua ma la birra, con la seguente raccomandazione: cervisia bibe, sed sobrie.
Cosa si intende per sobrietà? Sempre Teodoro ci informa riguardo a cosa debba intendersi per ubriachezza. Il bere sobriamente secondo l’indicazione sopra segnalata coincide con l’evitare di consumare una tale quantità di alcol da ritrovarsi la mente offuscata, la vista intorpidita, balbettare, provare un senso di vertigine: per sintetizzare, bere sobriamente consiste nel non arrivare a forme gravi di ubriachezza. Potete ritrovare numerosi altri esempi all’interno del nostro trattato.
Risulta particolarmente interessante la presenza, all’interno dei testi penitenziari irlandesi, del divieto di consumare bevande di intensità alcolica maggiore della birra (ovvero vino, idromele e braggot) in caso di peccati gravi, in genere l’omicidio. La birra, per farla breve, viene considerata la bevanda di chi vive una vita di penitenza. Sono molto rari i casi in cui persino la birra venga vietata ai penitenti e vogliamo menzionare a tale proposito Colombano, il quale vieta il consumo di birra per alcuni giorni al monaco che abbia ecceduto nel mangiare e nel bere, ma questo ci sembra del tutto rientrare nell’indicazione di Teodoro che raccomanda un consumo sobrio della birra.
Ci preme sottolineare come la concezione di sobrietà sia molto distante dalla nostra: la questione fondamentale resta, più che l’astinenza, il tentativo di regolamentare la tendenza verso l’eccesso.
Come potete vedere, siamo lontanissimi dall’idea contemporanea che prevede la totale astensione dalle bevande alcoliche, mostrando una società diversa e molto più complessa di quella che viene presentata da certe opinioni superficiali sull’età medievale che non tengono in considerazione la realtà fattuale delle fonti. Il nostro invito, come sempre, è di tentare di non applicare categorie contemporanee allo studio del passato per non incorrere in interpretazioni arbitrarie che poco hanno a che fare con il lavoro di ricerca storica, per scoprire modi di vivere e, in questo caso, di concepire l’alimentazione del tutto differenti dal nostro e proprio per questo di straordinario interesse per meglio comprendere popoli vissuti in altri secoli.
MARCO GAVIO DE RUBEIS
Per approfondire i temi trattati nel presente articolo, vi consigliamo la lettura di Idromele. Miti, storia e preparazioni della bevanda degli dei e di Birra nella storia. Ingredienti e preparazioni attraverso i secoli, entrambi dello stesso autore. Se siete interessati alla cucina storica, vi invitiamo inoltre alla lettura degli altri saggi di Marco Gavio de Rubeis, dedicati alla cucina dell’antica Roma, al periodo medievale e al Rinascimento.
Questi invece sono gli articoli che potete trovare gratuitamente online:
Riscoprire l’enogastronomia antica
Perché preparare l’idromele in casa
Il cappone stufato e ripieno. Due ricette italiane tra Medioevo e Rinascimento
Cos’è il garum
L’imitazione della natura e il meraviglioso nella cucina medievale (Italia Medievale)
Molto interessante, grazie per questo bell’articolo 😀 scritto bene e con grande accuratezza!